Giustizia non è fatta. Almeno per ora. Bisognerà attendere altri tre mesi prima che la IV Sezione della Corte d’appello di Roma si pronunci una volta per tutte sulla restituzione di un bar e di una pompa di benzina ai loro legittimi proprietari, che una sentenza della Cassazione ha già riconosciuto come vittime dei Casamonica. E così, dopo oltre tre anni di attesa, quei beni confiscati perché sulla carta intestati a due esponenti del clan rimangono congelati, in attesa che la giustizia faccia il suo corso. All’origine della storia una volta ancora ci sono le scorribande nel quadrante Est di Roma della famiglia sinti che del prestare i soldi a strozzo ha fatto la sua bandiera, marchio impresso a fuoco di violenza e sopraffazione, ma soprattutto strumento affilato per esercitare un controllo incontrastato sul territorio e sulle sue miserie.